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Gli “Arlecchini” di Montelupo

Nel periodo del “figurato tardo”, che ha la sua piena espressione nella prima metà del ‘600, si colloca il filone dei cosiddetti “arlecchini”, protagonisti indiscussi del successo della ceramica di Montelupo, tanto celebrata dalla storiografia e dal collezionismo europeo otto-novecentesco. Un filone il cui carattere peculiare è costituito, nella grande maggioranza dei casi, da una precisa sintassi figurativa: una singola figura occupa l’intera superficie del piatto, quasi sempre a fondo giallo, in movimento entro un paesaggio estremamente semplificato, a quinte laterali con picchi rocciosi dalle cime arrotondate e scarsa vegetazione ad antenna, un terreno acciottolato in primo piano e una fascia di prato soprastante. Si tratta di alfieri e tamburini, spadaccini e contadini, alabardieri e personaggi della commedia dell’arte; uomini, spesso con baffi e cappello nero a larga falda, con il colletto bianco, giubba e brache rigate corte al ginocchio, calzature nere, a volte piccole, a volte di forma allungata, portano strumenti che ne connotano il ruolo; il tutto dipinto con acceso cromatismo che ne evidenzia l’atteggiamento ironico e caricaturale. Queste raffigurazioni infatti, pur così semplificate ed essenziali, interpretano con fantasia ed allegria ogni aspetto della vita comune, nella sua complessità e varietà, dalla quotidianità del lavoro ai momenti di svago; esse rappresentano una vera novità nel panorama decorativo della maiolica del ‘600, in alternativa alle consuete illustrazioni a soggetto religioso, storico o mitologico, spesso riproduzioni pedisseque di stampe e incisioni dell’epoca eseguite con intento puramente celebrativo e aulico per omaggiare nobili committenze. Quella degli “arlecchini” è una narrazione semplice, di facile ed immediata interpretazione, ma non per questo meno efficace e meno colta nel descrivere con grande forza espressiva la realtà popolare; una narrazione che, come sottolinea la critica a riguardo, ha peculiari radici nel genius loci montelupino e che molto piacque e si diffuse tra tutti i ceti sociali e in gran parte d’Europa. E forse per questo, queste raffigurazioni così semplificate si sono sviluppate in copiose varietà stilistiche, tali da portare gli studiosi di questo repertorio ad individuare una serie di categorie definite non tanto dalla tematica rappresentata, ma soprattutto dalle fattezze dei personaggi; tra queste sono il gruppo dei nasi appuntiti, il gruppo dei profili acuti, il gruppo dei piedi piccoli e molti altri. Nel nostro caso il piatto appartiene alla tipologia denominata “Gruppo dei volti spagnoli”, che si caratterizza per la fisionomia spagnoleggiante del personaggio, con barba corta, alti baffi che escono dalle narici, e occhi a fessura cerchiati da ombre arancio. La fase del “figurato tardo”, ispirata principalmente dalla novellistica popolare con temi derivati da fenomeni di costume, riuscì a trovare consenso in ogni classe sociale, catturando larghe fette di mercato in varie parti d’Europa.