Simbolo peculiare della storia del mobile veneziano del ‘700 è la lacca, che grazie alla grande capacità esecutiva dei “depentori” diventa l’elemento decorativo per eccellenza dell’epopea artistica della Serenissima. Fonte di ispirazione furono fin dal XVII secolo le chinoiseries; provenienti dal lontano Oriente e accolte con grande entusiasmo a Venezia, furono inizialmente oggetto di importazione su larga scala, successivamente imitate per divenire infine vere e proprie creazioni autonome e originali. Questa moda all’orientale dilagò in tutta Europa e nacquero un po’ ovunque veri e propri “cabinets des chinoiseries”, dove venivano esposte preziose collezioni non solo di oggetti in lacca, ma anche di giade, avori, tappeti e porcellane, entro ambienti di sapore esotico, appositamente costruiti per accoglierle: dal gabinetto in lacca nera del Castello di Rosemborg a Copenaghen al Padiglione giapponese costruito da Augusto il Forte a Dresda, dalla Maison des Indes di Massimiliano II di Baviera a Nymphenbourg alla Stanza delle lacche nel Palazzo reale di Torino. Questo enorme e diffuso successo delle merci esotiche portò a un eccessivo aumento dei prezzi unito alla difficoltà di reperire tali merci sul mercato, fattori questi che indussero il mercato europeo a intraprendere in autonomia la produzione di tali manufatti, carpendone i segreti dall’Oriente, come accadde per le porcellane. In Italia, come prevedibile, le prime imitazioni di lacche esotiche, avvenne a Venezia. A tale proposito scrive la Rispoli Fabris:” Di fronte alla nuova moda dell’esotico, quando si trattò di sostituire la mancata importazione con una produzione imitativa, Venezia non ebbe bisogno di ricercare la tecnica usata dai Cinesi…i depentori veneziani, avendo già conosciuto l’uso di simili vernici, iniziarono la laccatura alla cinese con formule varie, ma sostanzialmente basate sulla mescolanza di resine diverse in soluzioni essiccative” (A. Rispoli Fabris, L’arte della lacca, Milano 1974,p.146); in particolare l’uso della sandracca permise loro di ottenere ottimi risultati qualitativi di durezza, levigatura e brillantezza. In questa prima fase il repertorio iconografico e ornamentale fu strettamente legato a temi e raffigurazioni orientali, ma poi, nei primi decenni del ‘700, tali temi, pur mantenendo un ruolo predominante, vennero rielaborati con garbate contaminazioni e affiancati da stilemi attinti alla vita arcadico-pastorale, con paesaggi ispirati ai dipinti di pittori contemporanei, quali Zais, Zuccarelli, Tiepolo e altri in cui si ambientano scene di svago quotidiano.
Si tratta di un continuum ornamentale che passa dalla superficie degli oggetti quotidiani alle pareti degli ambienti che li contengono senza soluzione di continuità, con equilibrio e armonia. Scrive il Lorenzetti:
“Superata la prima fase di imitazione dei modelli orientali, il laccatore veneziano viene via via acquistando una maggiore libertà di invenzione e di interpretazione. Continuano a usarsi largamente le scenette di cineseria, ma a queste si aggiungono altri tipi di fiori e di paesi, di figure e di animali. Scelto il tono generale della laccatura di fondo, rosso corallo o rosso ceralacca; verde cupo oliva o verde tenero di pastello; giallo intenso o giallo crema; azzurrini lievi o rosa delicati o viola teneri; suddivisa la superficie da decorare in comparti di forme le più varie e complesse, ecco apparire racchiuse entro le più dolci pastorellerie d’Arcadia, o vignette tratte dalla vita mondana del tempo, di dame e di cavalieri o figurine di contadini e di pastori su sfondi di paese” (G.Lorenzetti, Lacche veneziane del Settecento, Venezia 1938, p.14). È il momento aulico della creatività veneziana, sbrigliata e senza regole; stagione decorativa disordinata, capricciosa e spregiudicata, incontro felice tra l’eleganza orientale e la frivolezza delle scene veneziane, quella stagione che significativamente il Morazzoni definisce “di esuberanza disarmonica”.