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Roberto Capucci

Roberto Capucci nasce a Roma nel 1930 e già a 21 anni debutta, seppure ufficiosamente, nel mondo della moda a Firenze, in occasione delle prime sfilate organizzate da Giovanni Battista Giorgini. Un successo immediatamente riconosciuto non solo dal pubblico ma pure dagli addetti ai lavori, se è vero che Dior lo definisce” il miglior creatore della moda italiana”. E in effetti a Roberto Capucci si addice molto di più l’appellativo di creatore, sicuramente anche artista, che non quello di stilista; non a caso, dopo la parentesi parigina, deciderà di abbandonare gli obblighi imposti dalle logiche commerciali del fashion system ufficiale e anziché seguire il calendario delle sfilate d’Alta Moda, organizzerà i propri defilé in luoghi e tempi ritenuti più opportuni, palazzi patrizi e musei: un anelito alla libertà che lo porta a scelte autonome, che prescindono dalle tendenze della moda e guardano invece con vivace curiosità al mondo della natura  e dell’arte. Nasce così l’abito Nove Gonne, ispirato ai cerchi concentrici formati dal lancio di un sasso nell’acqua e la linea A Scatola, che esalta il rigore delle forme geometriche nel loro rapporto tra il corpo e lo spazio. Creazioni profondamente diverse tra loro, entrambe sembrano però testimoniare come gli abiti di Capucci siano creature autonome, capaci di vivere di vita propria e di trasmettere emozioni assolute, senza bisogno di essere indossate, senza bisogno di un corpo che le animi. Artista eclettico dalla inesauribile vena creativa, Capucci si esprime in repertori diversi, tra questi il teatro, in particolare il teatro lirico e il balletto. Sono del 1986 gli abiti per le 12 vestali che accompagnano Carla Fracci in un omaggio a Maria Callas all’Arena di Verona: 500 metri di taffetas bianco, argento e ghiaccio, impreziositi da ricami e passamanerie in argento, oggi esposti in fondazioni e musei di tutto il mondo. È un approccio innanzitutto di conoscenza, quello di Capucci al teatro; ogni pièce va studiata nei minimi dettagli: il repertorio, la scenografia, i colori delle quinte, l’identità dei personaggi rappresentati e persino i movimenti e gli atteggiamenti delle interpreti. Elementi imprescindibili per la creazione di un linguaggio di irripetibile unicità che prescinde dalla tradizione andando oltre la ricerca filologica e storica e in qualche modo reinventa la scena narrata con dirompente contemporaneità. Così gli abiti creati per il soprano Raina Kabaivanska, tra i quali Angelo barocco per La Rondine di Giacomo Puccini in lamé plissettato nelle varie tonalità dell’oro, quelli per Katia Ricciarelli e per Anna Caterina Antonacci; abiti onirici in cui si fondono magistralmente il rigore e la perfezione geometrica con un inesauribile e imprevedibile gioco di accostamenti cromatici, ognuno preceduto da una serie infinita di schizzi e bozzetti di calligrafica precisione e sottile sapienza grafica, non meno affascinanti degli stessi abiti. Come scrive Massimiliano Capella, “Nella scatola magica del teatro, il maestro Capucci si conferma un abile narratore di storie, capace di trasformare i sogni in un’esperienza reale e, lo stesso teatro, in un tempio di bellezza e di fasto”.