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Sugli specchi veneziani

Quattro importanti lumiere realizzate a Venezia agli inizi del XVIII secolo andranno in asta il 25 settembre (lotto 131); scopriamo qualcosa in più sulla genesi di questa forma artistica famosa in tutto il mondo.

I primi specchi di vetro furono prodotti nel XVI secolo ed ebbero una grande diffusione nel XVIII secolo. A Murano, nel 1570, fu concesso ai fratelli Dal Gallo di fabbricare specchi di vetro “secondo un procedimento segreto”. Poco più tardi, furono ampiamente realizzati specchi in lastra di vetro dagli specchieri di Murano (spegeri), che nel 1569 si costituirono in corporazione. A Murano le lastre da specchio erano preparate nelle fornaci appartenenti al colonnello dell’Arte vetraria dei fabbricanti di quari e lastre. I maestri che producevano lastre da specchio venivano chiamati maestri da quari. Le lastre da specchi erano ottenute da grossi cilindri soffiati (vessighe), scalottati e aperti a caldo mediante incisione. Il cilindro, poi, mantenuto caldo, veniva fatto aprire per formare una lastra che si adagiava su uno strato di cenere (metodo lorenese). I quari grezzi venivano poi consegnati agli specchieri per la spianatura, la lucidatura e l’applicazione della foglia di stagno.

A Venezia, nel secolo XVI, le lastre da specchio venivano argentate sul retro con un’amalgama di stagno e mercurio, ma dopo il 1840 venne adottato il sistema del deposito d’argento o di platino. Un altro metodo per fabbricare lastre da specchio era quello detto “a corona”, con cui le lastre di vetro erano ottenute soffiando una sfera che veniva trasferita dalla canna da soffio su un’asta metallica e poi tagliata per consentirne l’apertura. Il vetro veniva, quindi, ruotato rapidamente fino ad assumere la forma di un grande disco piatto, temprato e infine tagliato in pezzi rettangolari. Un altro metodo era quello francese, con il quale, verso la fine del XVI secolo, le lastre di vetro venivano realizzate mediante colatura di vetro fuso in appositi stampi rettangolari.

Per quanto riguarda invece le specchiere che dovevano contenerli, la massima espressione di gusto trova realizzazione, nel ‘700, in quelle in vetro di Murano.

Per tentare di uscire dalla grave crisi in cui si era imbattuta l’arte vetraria all’inizio del Settecento, dando spazio all’affermazione del vetro boemo, il muranese Giuseppe Briati avviò una produzione di vetro simile per composizione a quella dei vetri boemi, senza imitare le opere ma tentando di vincere la concorrenza. Per quanto riguarda i vetri incisi a rotella, tecnica anch’essa boema, seppur variandone la foggia, dovettero essere chiamati cristalli “all’uso di Boemia”. Ciononostante, la produzione di Briati, approvata dal Consiglio dei Dieci del 1737 ebbe un enorme successo. Tra gli oggetti più noti si annoverano le “chiocche”, lampadari a molti bracci decorati da festoni, fiori e foglie, i deseri” centri tavola, gli specchi di cristallo colorato e il famoso “lattimo” che imitava la porcellana. A Murano il lattimo era opera soprattutto della famiglia Miotti e dei fratelli Bertolini, che nel 1739 avevano ottenuto dalla Repubblica di Venezia l’esclusiva di decorarlo in oro. Quest’epoca è anche quella della produzione di vetri mimetici come il “calcedonio”, l'”avventurina” ed i vetri soffiati decorati a smalto a caldo. Maestri di tale tecnica furono Osvaldo Brussa e suo figlio Angelo Brussa, dei quali con i soggetti caratterizzati da fiori, frutta, animali, scene sacre e profane, giungiamo all’inizio dell’Ottocento.

Non va dimenticato che il vetro trova applicazione pratica attraverso la creazione di oggetti d’uso domestico, quali le ampolle per l’olio e l’aceto, le lampade da tavolo alla fiorentina, i vassoi, i cestini, i centro tavola e come materiale decorativo d’arredo. Per quasi tutto il Settecento grande importanza godette lo specchio veneziano incorniciato da decori, smalti ed incisioni, che a volte comparvero sulla superficie. Successori di Briati furono Giacomo Giandolin, Lorenzo Rossetto e Zuane Gastaldello, Vittorio Mestre, la Compagnia di Cristalli Fini ad Uso di Boemia, Antonio Motta, Vincenzo Moretti e C.

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