Considerata per lungo tempo niente più che un oggetto complementare atto a definire e determinare lo spazio dell’opera che racchiude, la cornice solo in tempi recenti ha assunto la connotazione di vero e proprio oggetto d’arte. A ciò hanno anche contribuito alcune importanti mostre internazionali ad essa dedicate, tra le quali quella al Metropolitan Museum di New York nel 1990 e a Parigi nel 1991, e illuminati e lungimiranti mercanti d’arte, primo tra tutti Franco Sabatelli che, con la sua bottega milanese e la partecipazione ad eventi internazionali, ha largamente contribuito alla conoscenza e alla nascita di un collezionismo specifico in questo settore, restituendo alla cornice la dignità di opera in se stessa compiuta e annullando ogni riferimento e legame temporale con ciò che in essa è contenuto; a tale proposito significativo è l’abbinamento cornice antica-opera contemporanea, adottato in molti musei e gallerie d’arte. Parte integrante del quadro nel XIII secolo, costituita da un perimetro rialzato ricavato abbassando la parte interna della tavola poi dipinta, la cornice diventa oggetto completamente autonomo nel 1423, quando Gentile da Fabriano costruisce per la pala dell’Adorazione dei Magi una cornice del tutto indipendente dal dipinto, eseguita separatamente, utilizzando elementi architettonici come archi e colonne, che scandiscono lo spazio pittorico, con forti riferimenti all’ambiente circostante. Sono così disegnate le cornici di trittici e polittici, che nella forma a sviluppo verticale riprendono le facciate delle chiese gotiche e nella decorazione aulica gli arredi delle stesse chiese alle quali sono destinati. Con l’avvento della prospettiva, lo spazio pittorico si modifica orientandosi verso forme più orizzontali che meglio si adattano ad ospitare una scena unica. “Scrivo un quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, il quale io reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto”: così scrive Leon Battista Alberti, esprimendo una concezione nuova della cornice quale elemento unito alla composizione pittorica da un legame dinamico, volto ad accentuare illusioni prospettiche e a dare maggiore efficacia espressiva a ritratti o scene rappresentate. La cornice a tabernacolo o ad ancona rispecchia questa nuova concezione e soprattutto le esigenze delle nuove committenze, non più solo ecclesiastiche ma anche laiche; la forma si rifà all’architettura classica, le dimensioni diventano più modeste, atte ad ambienti domestici e privati, ma pure di grande effetto decorativo, con colonne e pilastri laterali abbelliti da ornamenti in pastiglia a candelabri e racemi intrecciati, sormontati da un timpano o da un arco a volte centrati da putti o stemmi araldici dipinti e dorati. Durante il XVI secolo, sempre più parte degli arredi comuni, compare un nuovo tipo di cornice detta “a cassetta”, più semplice ma non meno elegante, costituita da una fascia piatta limitata esternamente ed internamente da profili a rilievo, particolarmente adatta a contenere ritratti. Tale tipologia di semplice esecuzione, in voga da metà ‘500 a metà ‘600, viene arricchita nella fascia di solito scura da eleganti decorazioni graffite e bulinate in oro e in alcune varianti da applicazioni in marmo e pietre dure, tartaruga e bronzi cesellati. Ancora nel XVI secolo si sviluppa in Veneto un particolare tipo di cornice detta “alla Sansovino”: di forma robusta, caratterizzata da ampie volute affrontate, a volte sostenute da mascheroni e abbellite da festoni di fiori e frutta, può essere dorata o più spesso in legno tinto a tempera bruna con lumeggiature in oro. Negli anni successivi la linearità di questa tipologia di cornici si trasforma e lascia il posto ad una sagoma che, anziché delimitare uno spazio, scivola esternamente verso la parete e si protende in avanti, mettendo ancor più in evidenza il dipinto in essa contenuto. La decorazione è fatta di volumi a forte rilievo, con intagli profondi a ridondanti motivi vegetali, foglie e volute. Comune in questo periodo è pure la cornice Salvator Rosa, dal nome del pittore napoletano, la cui fascia è costituita da gole e modanature a volte impreziosite da profili scolpiti a nastro, a perlinature o a foglioline susseguenti. Dall’esuberanza del ‘600 si passa alla raffinata eleganza del XVIII secolo, dove la plasticità scultorea e l’opulenza degli ornati sono sostituite da preziosi e sottili intagli a bassorilievo e stucchi in pastiglia, che coprono la sagoma della cornice con intrecci di rami fioriti e nastri serpeggianti, arabeschi e cartigli a mascherare gli angoli e togliere rigidità al contorno. La materia si alleggerisce anche grazie all’impiego del traforo e persino la doratura, fino ad ora così pregnante, diventa più lieve e scintillante. Tipica in questo senso è la cornice “veneziana”, caratterizzata da quattro cartelle poste al centro delle fasce e agli angoli decorazioni a motivi vegetali e volute, in alcuni casi trasformata in specchiera, arricchita da fregi e cimase traforate, opera del “marangon de soaza”, l’artigiano che nella laguna aveva, fin dal 1355, l’esclusivo diritto di produrre cornici. Proprio la grande varietà di forme e decorazioni, se da un lato rende difficile una ferrea catalogazione delle cornici, allo stesso tempo ne fa un interessante e affascinante oggetto di ricerca e collezione, che esprime non solo la padronanza della tecnica dell’intagliatore, ma anche la sua capacità di abbandonare regole e schemi compositivi per dare libero sfogo all’esuberante fantasia e, come scrive Morazzoni “apre sempre sulla parete una logica finestra verso il regno del sogno”.