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Scintillanti (dis)armonie

­­Se è vero che le arti decorative rispecchiano sempre l’epoca storica in cui nascono e si sviluppano, è anche vero che quasi sempre lo fanno in una duplice direzione: quella che segue la tradizione e quella che rompe con il passato. In questo senso gli anni ‘50, che partono dalla tabula rasa causata dall’evento bellico, nello slancio euforico della ricostruzione sono attraversati da molteplici contraddizioni e da grandi mutamenti sociali, alla ricerca di un’autentica rinascita. La nuova estetica di quest’epoca dimentica l’austerità degli anni di guerra e guarda con ottimismo al futuro. Così anche i gioielli, che abbandonano il rigore geometrico degli anni ‘30 e la solida compattezza dei manufatti anni ‘40, epoca in cui venivano considerati non solo ornamento ma anche bene rifugio, divengono più leggeri e aerei. Le forme si complicano in arzigogolati movimenti, le linee diventano arrotondate e il disegno curvilineo, espressione di un concetto di funzionalità non più sinonimo di essenzialità, ma strettamente connesso ad un profondo impegno nello stile. Le superfici sono traforate, simili a pizzi o realizzate in filo d’oro, liscio o ritorto disposto in mille modi diversi: allineato in file parallele o intrecciato, a raggiera o a graticcio, a nappe o a cascate, sempre disposto senza un ordine apparente, in forme naturali, ma anche astratte, dai bordi accentuati, dai volumi importanti, ma pure leggeri e fortemente dinamici. La ritrovata gioia di vivere di quest’epoca si esprime anche nella netta distinzione tra gioielli da giorno e gioielli da sera, questi ultimi spesso rappresentati da importanti parure, con montature in platino o palladio, arricchite da diamanti e pietre preziose colorate, montate con griffes che ne evidenziano purezza, lucentezza e dimensioni. I diamanti in particolare, promossi da De Beers per ogni classe sociale con l’intramontabile slogan “un diamante è per sempre”, definiti da Marylin Monroe “i migliori amici delle donne”, sono le pietre predominanti, abbinati a smeraldi, zaffiri, rubini, nella versione più preziosa, ma anche a pietre colorate semipreziose: ametiste, topazi, coralli, turchesi, in nuove e inedite combinazioni di colori, a ripetere nella gioielleria quello che nella moda accadeva con le creazioni di Emilio Pucci, in tessuti a geometriche fantasie fatte di colori ispirati alla natura caprese, giocati in modo felicemente contrastante. Tornano ad avere un ruolo importante le perle, anch’esse sostenute dallo slogan “aggiungi una perla”, che suggerisce l’acquisto di una perla alla volta, come inizio di collane e bracciali da completare nel tempo. Spesso abbinate ai diamanti, su spille e orecchini, o montate in lunghe collane da portare sugli intramontabili tailleur firmati Coco Chanel, che nel 1954 aveva riaperto con successo il proprio atelier di Parigi, in classici collier a scalare o in inediti girocolli di fili arrotolati detti “torsade”. In un articolo comparso su l’Officiel de la couture et de la mode nel 1954 si legge: “Una grande immaginazione presiede alla fabbricazione dei gioielli moderni, lavorati con un’arte straordinaria. Le maglie d’oro riescono ad imitare il tessuto, i fiori, chicchi e grani: un mondo incantato si presenta ai nostri occhi”. È infatti estremamente variegato il repertorio decorativo dei gioielli anni ‘50: ispirato a temi naturalistici, con la foglia come motivo dominante, ma anche fiori e bouquet, declinati in tutte le varietà su spille, collane e bracciali, con gli animali resi verosimilmente o stilizzati, uccelli esotici e galletti, animali domestici e bestie feroci e l’immancabile serpente, da sempre soggetto affascinante e misterioso. Alle tipologie tratte dalla natura si affiancano temi astratti come spirali e volute e più tradizionali, nastri e gale, ghirlande e festoni. Tra i gioielli predomina la collana, che impreziosisce le ampie scollature a spalle nude o a cuore dei sontuosi abiti di Dior. Da giorno in oro giallo lavorato in molteplici combinazioni diverse: a spina di pesce, a treccia, a segmenti snodati, a tessuto, a rete, spesso arricchite su un lato da cornucopie e nappe o sul davanti da elaborati motivi ornamentali e pendantif centrali staccabili, utilizzabili a spilla. Anche i collier da sera più importanti possono avere un doppio uso: quelli creati da Cartier in questi anni sono spesso trasformabili in diademi. Bracciali, orecchini e spille utilizzano le stesse tecniche di lavorazione e gli stessi temi decorativi che caratterizzano i gioielli di quest’epoca. In particolare, le spille declinate in fantasiose forme, con grande utilizzo di pietre colorate e smalti policromi: a piuma, a foglia, a coccarda, in filo d’oro e in “tissu milanais”. Lo stile animalier è tra i preferiti di Cartier; un posto di eccellenza in questo repertorio spetta alla celeberrima Panthère, commissionata nel 1948 dal Duca di Windsor, divenuta negli anni uno dei simboli più rappresentativi della Maison. Nel bestiario di Van Cleef & Arpels compaiono cani e gatti che strizzano l’occhio con malizia, Mellerio riproduce eleganti farfalle ad ali spiegate e Mauboussin variopinti pappagalli. Per quanto riguarda gli anelli, negli anni ’50 fanno la loro comparsa, in alternativa al classico solitario da fidanzamento, quelli in oro bianco con pietra colorata centrale, smeraldo, zaffiro o rubino, spesso di taglio rettangolare contornata di brillanti, con montature a griffes che lasciano libera la pietra, evidenziandone al massimo la preziosità. Per gli anelli in oro giallo, tipica è la montatura bombata, spesso in cordoncino d’oro centrata da una pietra: preziosa o semipreziosa, perla o corallo, essa costituisce il nucleo di modelli a fiocco, a fiore, a nodo, a turbante. Una annotazione a parte meritano i gioielli di ispirazione orientale, in particolare indiana, largamente presenti anche nella produzione Cartier: collane di smeraldi, rubini, diamanti e smalti, bracciali rigidi a cerchio, terminanti con teste di drago simili a quelli dei maharaja di Jaipur.